A proposito di Enduro Estremo

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Spesso parlando con gli appassionati noto un gran entusiasmo per l’Enduro Estremo, ed in effetti vedere l’uomo misurarsi in situazioni estreme risulta attrattivo da oltre duemila anni; basti pensare ai Romani e all’interesse per i Gladiatori che si sfidavano all’interno del Colosseo.
Per fortuna ora vi sono altre forme di spettacolo, più umane, e nell’ off-road l’Enduro Estremo è l’essenza.
Essendo inoltre una disciplina “recente” risulta ancora più attraente, anche se io personalmente, nonostante abbia preso parte a gare estreme in tempi pionieristici, preferisco il buon “vecchio” Enduro che si pratica da oltre cento anni.
C’è da dire che un tempo le gare di Enduro erano spesso impegnative, tempi tirati e spinte per passare gli ostacoli erano frequenti. Inoltre la durata era nettamente maggiore, oltrepassando le otto ore di gara.
Comunque da buon bergamasco, sfidare percorsi al limite della percorrenza mi è sempre piaciuto. Quando infatti si presentava l’opportunità di prendere parte a gare estreme, ho sempre partecipato volentieri e anche con un discreto successo. Infatti nella mia carriera da pilota posso vantare una vittoria dell’Erzberg Rodeo, un secondo posto al Romaniacs e una terza posizione alla Gilles Lalay Classic.
Proprio quest’ultima gara è quella che ritengo la gara più impegnativa della mia vita, infatti nemmeno alla Dakar ho terminato così affaticato!
Questa gara fu ideata dallo stesso Gilles Lalay che voleva organizzare una prova di Enduro difficilissima.
La gara si sarebbe svolta partendo alle prime ore dell’alba per terminare a notte inoltrata nel Limousine, regione che offre percorsi molto difficili.
Infatti il nome originale dell’evento sarebbe dovuto essere Dead Line, ma poi Gilles Lalay venne a mancare durante la Parigi-Dakar. Il motoclub che era già in marcia con il progetto Dead Line, decise di mantenere l’idea originale di gara ma di cambiarne il nome intitolandolo al campione deceduto.
Il primo Italiano a partecipare fu Arnaldo Nicoli nel 1995.
Nel week-end successivo alla gara francese si svolgeva il campionato Italiano di Enduro. In quell’occasione incontrai Arnaldo e lo vidi fisicamente molto provato.
Considerate che Nicoli a quei tempi era uno dei piloti più allenati atleticamente, quindi incuriosito gli chiesi com’era andata la Gilles Lalay.
Si mormorava che quella appena terminata fosse stata un’edizione durissima ed infatti lo fu, perché riuscirono a terminarla solo 4 piloti e Arnaldo era uno di questi. Grande!
Così l’anno seguente KTM decise di prendere parte alla gara francese coinvolgendo me e Mario Rinaldi.
Quindi iniziammo i preparativi nel Team Farioli. Giuliano Cecconi uomo tutto fare del team prese informazioni riguardo l’assistenza, varie ed eventuali, e una volta preparato tutto il necessario ci accompagnò per questa ennesima avventura.
Ricordo che sottovalutammo le difficoltà che ci aspettavano, con soste dedicate alla “Nouvelle Cuisine” e al vino Beaujolais. Eravamo tra i migliori enduristi al mondo e quindi niente ci preoccupava e tantomeno questa gara ci impensieriva.
Una volta arrivati trovammo un ambiente unico, tanto pubblico e la presenza dei media più importanti, come del resto accade sempre nelle manifestazioni francesi. Belli carichi montammo i fari più potenti preparati dagli svedesi e poi andammo alle punzonature delle moto tra foto, autografi ed interviste.
La gara si svolse in due fasi.

 


La prima fase era una gara classica di Enduro che serviva per qualificarsi al pomeriggio per la fase estrema. La mattina lo start era alle 6 e a quell’ora di febbraio nel bel mezzo della Francia faceva un freddo bestia. Appena partiti ci trovammo da subito in grandi difficoltà, spingendo spesso le moto dentro i gelidi guadi.
Le Prove Speciali erano su immensi pratoni, veloci e scivolosi ma da prendere a tutto gas per riuscire ad entrare nella lista dei partenti. Dopo 6 ore di “Enduro duro”, arrivando verso Peyrat le Chàteau, trovammo ad attenderci l’apocalisse.
Già a 10 km di distanza il pubblico riempiva i grandi campi adibiti a parcheggio e il villaggio fu invaso in ogni angolo, dove noi piloti faticavamo a procedere verso il paddock tanta era la gente.
Giusto il tempo per fare assistenza e togliere i grossi fari per non danneggiarli, che con uno sparo avvenne la partenza in stile motocross per affrontare i 200 Km di inferno. Si iniziò con un lungo fettucciato per sgranare i piloti e dopo un guado entrammo nel bosco. Mario nelle prime fasi viaggiava intorno alla terza posizione, mi racconterà poi che si sentiva già la gara in tasca. Io ero in ottava posizione quando in un guado trovai un po’ di traffico.
Poi ecco le prime pietraie dove incastrai la moto con la ruota anteriore e posteriore fra gradoni impossibili da superare.
Spinsi la moto con tutte le mie forze e con l’ansia di non riuscire a superare questi ostacoli in breve tempo, iniziai a “sudare”. Poi le Bourbierre, lunghissime distese di fango dove solo i grossi cespugli di erba, presi a tutto gas permettevano di non affondare e di impantanarsi.
Ogni tanto trovavo delle rocce piantate e poco visibili, ma essendo l’unico modo per attraversare queste distese fangose mi sedevo sul fanalino posteriore e confidavo nella sorte sperando di non cozzare contro le rocce!
Nel percorso trovai una discesa così ripida che dovetti scendere dalla moto.
Mi sedetti per terra e scivolai nel fango insieme alla moto. Una volta arrivato in fondo la freccia del percorso mi indicò di risalire la stessa pendenza da dove ero appena sceso. A quel punto mi chiesi se quelli dell’organizzazione fossero pazzi.
Buttai l’occhio sulla salita e una marea di gente era in attesa di intervenire.
Pensai: “Ok, di nuovo moto a manetta e dove arrivo, arrivo. Poi sarà il pubblico a tirarmi su e a spingermi fino alla cima”. Ovviamente gli aiuti erano pieni di entusiasmo e di conseguenza anche molto disordinati. Così oltre a faticare per la salita tribolai anche per restare in equilibrio sulla moto. Una volta in cima ripresi la guida ma sudatissimo entrai nell’acqua gelata di un guado fino alla cintura. Sbam, botta termica ma nulla, andai avanti.
Dopo un paio d’ore arrivai finalmente alla prima delle assistenze previste.
Avendo ancora le forze e l’adrenalina, bevvi poco e non mangiai nulla.
Rifornimento, cambio degli occhiali e via!
Ancora pietre ricoperte di muschio, radici, boschi e torrenti da risalire.
Rimasi nella Bourbierre fino al buio e una volta raggiunta l’assistenza montammo i fari aggiuntivi. Di nuovo mangiai poco ma soprattutto continuai in maglietta.
Fu un grosso errore perchè soffrii il freddo notturno alimentato dalla stanchezza.
Continuai nella notte tra ostacoli spesso impossibili da oltrepassare se non con l’aiuto del pubblico.
Si presentò poi l’ennesima Bourbierre.
Non ne avevo più, congelato, affamato, assetato oltre che stremato dalla fatica. Partii il più veloce possibile ma dopo un centinaio di metri la moto venne risucchiata dal fango.
Mi trovai solo e bloccato nel buio completo. Il pubblico se ne era andato verso il “Corvo Morto”, l’ultima difficile salita che portava al traguardo.
Demotivato feci diversi tentativi per togliere la ruota posteriore dal fango ma l’effetto ventosa della ruota era così forte che la moto rimase immobile ed io sprofondai con gli stivali.
Dopo qualche minuto, ad una cinquantina di metri di distanza nel buio della notte un’imprecazione in bresciano squarciò il silenzio. Era Mario, anche lui bloccato nel fango. Ci aiutammo a vicenda e decidemmo di abbandonare la gara.
Con le orecchie basse come un cane Cocker, tornammo in Italia.
L’anno seguente, niente vino e cucina francese, ma soprattutto preparato ed allenato per il tipo di difficoltà, affrontai la gara con un approccio diverso e terminai sul podio in terza posizione.
Percorsi anche diversi chilometri in testa alla gara, posizione poi persa a causa di un guado affrontato nella parte più profonda, dove l’acqua entrando nel carburatore compromise l’efficacia del motore. Chissà come sarebbe andata ma in ogni caso nonostante fossi arrivato ben preparato, alla fine ero sfinito!
Nelle edizioni successive collezionai un quarto posto e uno stop a causa del faro che improvvisamente si spense.
In quell’occasione proseguii la gara grazie all’aiuto di Nicoli che da dietro più o meno mi “illuminava” il percorso.
Ovviamente la velocità non era la stessa e arrivando tardi al controllo di passaggio venimmo entrambi fermati. La cosa che più mi dispiacque è che a causa mia, anche Nicoli fu eliminato. |

2 Risposte

  1. Fabio
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    Grande Gió quelle gare non se le ricorda più nessuno ormai e la filosofia dell’endurance sembra così lontana… un’altra gara interessante anche se addirittura meno nota (un po’ per le distanze un po’ per la scarsità di notizie che all’epoca circolavano più difficoltosamente) era l’enduro del Toquet sulla sabbia della Normandia, ricordo che tolte queste prime “estreme particolari” l’enduro era più simile ad un motorally senza navigazione, più umano, ma più veloce, forse più aperto ai nuovi piloti che al grande pubblico di oggi, dove chi guarda non sempre fa. I mondi cambiano, ma sono sempre bellissimi se c’è la passione

  2. Mauro
    | Rispondi

    Starei a leggere per ore, mi ricordo abbastanza bene queste vicende “disumane”; allora tv bergamo aveva una serata dedicata all’ enduro… Mai pensato di scrivere un libro?

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